Negli scorsi articoli abbiamo cercato di capire come agisce l’audio branding, qui proviamo ad approfondire gli strumenti che abbiamo a disposizione e le principali azioni che si possono attuare in questo ambito per dare una vera e propria voce a un brand.

Se ci leggi dalle prime pubblicazioni ormai sarai ferrato sui concetti base di questa pratica di marketing così innovativa e ancora tutta da scoprire. Sei quindi pronto o pronta a poterti spendere questa conoscenza dal prossimo aperitivo al bar con gli amici (rischiando di annoiare tantissimo) o alla prima riunione con il tuo capo in azienda (rischiando di far sì che per una volta ti ascolti).

Tutti (non) sanno cosa sia l’audio branding

Numerose sono però le insidie sulla strada di chi vuole parlare di audio branding.

La prima è che si tratta di uno di quei concetti che molti pensano di conoscere, o almeno di cui hanno già sentito parlare, ma è difficile trovare qualcuno che sia correttamente informato, persino tra gli addetti ai lavori.

Chiunque lavori nel marketing, pur non essendo avvezzo al mondo dell’audio branding, avrà già la sensazione di sapere di cosa stai parlando, quando glielo racconterai.

Ma attenzione, ci sono due principali errori di disinformazione:

Non sono musiche da pubblicità

Non confondiamo l’audio branding con il soundtracking che è un’altra cosa e consiste nel sonorizzare materiali video con un sottofondo musicale, non necessariamente legata al messaggio, al ritmo della narrazione o al brand di riferimento.

In passato e ancora oggi in Italia si lavora attraverso l’associazione di musica non inedita alla pubblicità di un prodotto: per esempio le compagnie telefoniche utilizzano, per l’advertising televisivo, radiofonico e online, le hit pop del momento. Questo tipo di azione costituisce una parte della comunicazione legata ai singoli materiali piuttosto che la costruzione di una brand identity e rispetto ad essa risulta meno efficace a lungo termine (nessuno oggi sentendo Left Outside Alone di Anastacia la ricollegherebbe al brand Omnitel, sebbene sia stata la colonna sonora dei loro spot per molto tempo). 

Un altro svantaggio di questa tecnica di memorizzazione è la durata: essa richiede molti secondi di ascolto per l’apprendimento mnemonico. La musica già pubblicata è in più inevitabilmente troppo costosa. Chiunque altro può usarla e portare a una confusione molto negativa per il brand.

Un errore delle aziende nel tempo è stato quello di pensare ai suoni (e alle musiche) campagna per campagna, più che a lungo termine con l’intento di costruire l’identità del brand.

L’obiettivo principale è la Sound Identity

Per creare una vera e propria identità sonora invece si procede con la creazione del logo sonoro, il quale viene poi declinato in arrangiamenti differenti a seconda della strategia complessiva di marketing (mezzi, messaggi e target) e delle caratteristiche dell’azienda. A cascata si procede quindi al design del corporate sound, ovvero del pacchetto di tutti i suoni che contraddistinguono i diversi tipi di incontro con il brand.

Audio logo

L’Audio Logo è il corrispettivo sonoro del logo visivo e costituisce il primo ambasciatore del brand. Nei touchpoint che prevedono l’audio esso è il primo a raggiungere la mente dei clienti ed è anche il più propenso a rimanervi. Si costituisce di 3-5 note o suoni e dura solitamente tra i 3 e i 5 secondi, in linea con la soglia di attenzione attuale agli stimoli pubblicitari delle persone.

A volte esso riprende il motivo principale che scorre nell’audio DNA e termina la breve composizione, ma contemporaneamente può distaccarsi ed essere proposto da solo, accompagnando il logo visivo in ogni opportunità di materiale audiovisivo. 

Insieme, l’audio logo e il logo visivo amplificano il loro potere, portando in gioco le emozioni e un significato ulteriore rispetto alla pura immagine, lasciando un potente marchio sonoro impresso nelle orecchie delle persone.

Corporate sound

Si divide in primary system sounds e secondary system sounds. I primi comprendono i suoni con i quali si entra a contatto più facilmente, anche se il cliente non ha un grado profondo di affiliazione con il brand. Gli esempi variano a seconda del tipo di azienda, ma i più comuni costituiscono il serbatoio di suoni da cui attingere per le varie declinazioni sui media: la musica di sottofondo degli store di vendita, la musica d’attesa della linea telefonica o del sito internet, il sound design per gli spot pubblicitari e i materiali di comunicazione, i suoni di navigazione, il sound merchandising di uno stand fieristico o la sonorizzazione di un evento, i podcast di narrazione del brand, il sound storytelling, le presentazioni e i filmati aziendali, la business radio, il sound mapping, la sonorizzazione dei social media, il suono del voice assistant, etc.

I secondary system sounds sono invece suoni di risposta generati da azioni nel tempo; ne fanno esperienza gli utenti più coinvolti dal business tipico del brand. Esempi sono: i suoni di interfaccia delle app, i suoni di errore, le notifiche, le suonerie, gli hero sounds (suoni che sanciscono momenti particolari o achievement nella vita del prodotto e celebrano l’essenza dell’esperienza del prodotto). Questi suoni sono esperiti non solo dai clienti ma anche dai dipendenti di un’azienda e contribuiscono alla loro esperienza lavorativa, oltre che allo sviluppo di un senso di appartenenza al brand.

Audio DNA

Dell’audio DNA e delle sue caratteristiche abbiamo già parlato qui, spiegando che una buona sound identity dev’essere coerente, funzionale, ma soprattutto identitaria.

Suono di un prodotto

Infine l’ultimo tipo di utilizzo strategico di un suono si trova quando esso serve a differenziare un prodotto o servizio specifico, a facilitarne il riconoscimento, a creare nel cliente una preferenza e una forma di fiducia verso di questo e, non ultimo, a farne aumentare le vendite. Esempi di questo sono il suono di accensione di un Macbook, o il suono del click della fotocamera del proprio smartphone.
Tutto ciò contribuisce alla cosiddetta sound user experience. L’identità sonora di un brand quindi non influisce tanto sulla spiegazione di cos’è il brand, quanto su come esso faccia sentire il cliente e di come quest’ultimo ci si identifichi a livello emozionale e psicologico.

Non si tratta di semplici stimoli musicali scelti in base a un gusto personale, ma di veri e propri simboli acustici che permettono un approccio diretto al marchio. Grazie alla serie di valori e attributi che essi contengono permettono un’individuazione univoca del brand di riferimento e la genesi nei clienti di emozioni e stati d’animo predeterminati.